L’agroalimentare dice no all’etichetta a semaforo

Il mondo dell’agroalimentare si oppone all’etichetta a semaforo, un sistema entrato in vigore di recente in Gran Bretagna e Francia e che rischia di penalizzare fortemente il Made in Italy.

Che cos’è l’etichetta a semaforo 

L’etichetta a semaforo nasce con l’obiettivo di fornire ai consumatori informazioni sui contenuti nutrizionali degli alimenti. Lo fa però attraverso modalità che possono diventare fuorvianti ed ingannevoli. Vengono disegnati, infatti, sull’etichetta dei prodotti dei veri e propri bollini di colore rosso, giallo o verde in base alla semplice presenza di nutrienti come grassi, sali e zuccheri, senza tenere conto della quantità effettivamente consumata. Accade, ad esempio, che eccellenze italiane come il Grana Padano e il Parmigiano Reggiano siano state etichettate con il colore rosso per il solo contenuto nutritivo.

Le conseguenze per il Made in Italy

Non è un caso che da quando in Gran Bretagna è entrato in vigore questo sistema, ovvero il 2017, le esportazioni di olio di oliva siano calate dell’11%. Anche la Francia, di recente, ha adottato un sistema di etichetta a semaforo con cinque colori che segnalano lo “score” di un prodotto in base alla presenza di determinate sostanze nutrienti come grassi o fibre.

Il bollino rosso su alcuni prodotti DOP rischia di penalizzare fortemente il Made in Italy. L’Italia, infatti, è prima tra i paesi dell’Unione Europea per numero di certificazioni Dop, Igp e Stg con 291 specialità certificate. L’adozione di sistemi di questo tipo danneggia chi danni produce alimenti di qualità e non fornisce neppure le corrette informazioni ai consumatori.

La reazione dell’agroalimentare italiano 

Le associazioni di categoria degli agricoltori e i rappresentanti istituzionali italiani si sono opposti fermamente all’etichetta a semaforo, impedendone l’estensione a tutti i paesi dell’Unione Europea. Sul punto si è espresso anche il presidente di Fedagri – Confcooperative, Giorgio Mercuri: “La qualità e l’indiscusso valore delle produzioni alimentari made in Italy vanno difesi da sistemi di etichettatura che veicolano ai consumatori messaggi fuorvianti, facendo leva solo su singoli parametri e su valutazioni astratte che non considerano i prodotti nel ruolo che essi rivestono nel più ampio riferimento al contesto generale di uno stile di vita quale quello mediterraneo“. Secondo Mercuri vanno esclusi quei sistemi di etichettatura che prevedono un solo criterio di giudizio in quanto rischiano di arrecare più danni che benefici ai consumatori.

Sulla stessa lunghezza d’onda anche il presidente di Coldiretti Roberto Moncalvo: “L’Unione Europea deve intervenire per impedire un sistema di etichettatura, fuorviante, discriminatorio ed incompleto che finisce per escludere paradossalmente dalla dieta alimenti sani e naturali che da secoli sono presenti sulle tavole per favorire prodotti artificiali di cui in alcuni casi non è nota neanche la ricetta“.

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Latte: fine delle proroghe, il Made in Italy sbarca sulle etichette

È scaduto il termine di 180 giorni per smaltire le scorte di prodotti lattiero-caseari che non contenevano sull’etichetta l’indicazione d’origine del latte. Da oggi, dunque, l’etichettatura obbligatoria diventa definitiva.

La norma che tutela il Made in Italy

Ad annunciarlo è Coldiretti, sottolineando come il decreto “Indicazione dell’origine in etichetta della materia prima per il latte e i prodotti lattieri caseari”, in attuazione del regolamento (UE) n. 1169/2011 firmato dai ministri delle Politiche Agricole Maurizio Martina e dello Sviluppo Economico Carlo Calenda, diventa adesso valido per tutti i produttori.
L’intento del decreto è tutelare il Made in Italy di fronte all’invasione sempre più cospicua di prodotti lattiero-caseari realizzati con latte proveniente dai paesi esteri. Grazie alla nuova etichetta, invece, i consumatori potranno conoscere la provenienza della materia prima ed il luogo di trasformazione e scegliere così di acquistare il latte, ma anche il burro, i formaggi e lo yogurt prodotti in Italia.

Le diciture sulle etichette

Sulle etichette troverete le seguenti diciture:

  • Paese di mungitura: nome del Paese nel quale è stato munto il latte”;
  • Paese di condizionamento o trasformazione: nome del Paese in cui il prodotto è stato condizionato o trasformato”.

em8a3427Il nuovo assetto normativo sarà uno strumento molto importante per proteggere sia i produttori che i consumatori italiani. Questi ultimi, infatti, sono sempre più sensibili alla questione dell’origine dei prodotti alimentari. Non è un caso che nella consultazione pubblica effettuata dal Ministero delle Politiche Agricole il 95% degli intervistati abbia definito molto importante riportare l’origine della materia prima sulle etichette del latte fresco.
Oggi i consumatori sono disposti anche a spendere di più per acquistare prodotti italiani, sostenibili e sicuri. Ecco perché avere uno strumento di salvaguardia come l’etichettatura obbligatoria è senza dubbio un passo importante verso la crescita del nostro settore lattiero-caseario e verso una maggiore tutela dei consumatori e delle loro scelte alimentari.

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I formaggi italiani leader del mercato americano

I formaggi italiani sono quelli più venduti negli Stati Uniti. Lo dicono i dati del Dipartimento americano del commercio secondo il quale nel 2016 sono stati importati negli Usa 34.894 tonnellate di formaggio proveniente dall’Italia, con una crescita dell’8% rispetto al 2015.

Il Made in Italy alimentare si conferma, dunque, particolarmente apprezzato nel continente americano dove primeggia anche grazie alle vendite di vino.
Il settore lattiero caseario deve, però, fronteggiare diversi problemi. Una delle questioni principali è quella dell’Italian Sounding, ovvero l’imitazione di prodotti Made in Italy attraverso l’utilizzo di nomi che ricordano le specialità nostrane. Parliamo di una grave forma di concorrenza sleale e di raggiro nei confronti dei consumatori che ha un giro d’affari mondiale di ben 60 miliardi di euro e che costa all’Italia oltre 300.000 posti di lavoro. Una delle specialità maggiormente imitate è il Parmigiano Reggiano che vede nel “Parmesan” e nel “Parmeggiano” alcuni dei suoi quasi omonimi più noti.

Nonostante i tentativi di imitazione e nonostante l’assenza di un accordo di libero scambio, i formaggi italiani continuano comunque ad essere quelli maggiormente importati. Secondo i dati forniti dall’Ice circa un quarto dei formaggi importati dagli Stati Uniti proviene dall’Italia; seguono la Francia con una quota del 13% e la Spagna con il 7%.
Il valore delle importazioni di formaggi italiani negli Usa è pari a 280 milioni, una cifra in grande espansione grazie soprattutto al successo dei nostri marchi nelle grandi città americane come New York, San Francisco e Boston, metropoli dove è più forte il richiamo in termini di marketing dei maggiori brand caseari italiani.

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